domenica 26 aprile 2015

Another Side - L'ira dei Quattro




«Non sono certo di poterlo fare» dice l’uomo seduto sul cofano di quella che, un tempo ormai indefinito, sarebbe dovuta essere una vecchia Ford.
L’aria è fredda, ad ogni respiro delle nuvolette di vapore condensato fuoriescono dalle loro bocche disperdendosi dopo pochi attimi. Non sanno con precisione come possano misurare la temperatura ma ad occhio e croce non ci dovrebbero essere più di sette gradi centigradi.
Hanno trovato quell’attuale rifugio di fortuna, dopo aver trascorso gli ultimi giorni a pararsi il culo a vicenda, esposti ai pericoli che sono oramai alla portata di chiunque. Si tratta di un posteggio sotterraneo di un centro commerciale che, in tempi che sembrano ormai miraggi della memoria, sicuramente pullulava di gente.
Lui non è mai stato a Columbus. A dirla tutta il Nebraska l’ha sempre nauseato, specialmente per i fottutissimi tornado che si abbattono in quella zona degli Stati Uniti come se fossero attratti da una calamita meteorologica. Una persona si costruisce una vita, una casa, delle vere e proprie certezze… e improvvisamente un dannato cono vorticante cala dalle nuvole, quasi fosse un messia, e spazza via ogni singola cosa. Vedi la tua abitazione alzarsi in cielo, scardinarsi sotto la forza impetuosa del vento e venire distrutta nel giro di qualche secondo.
Bello eh? Il Nebraska.
Le sue convinzioni però sono messe da parte, il suo astio verso quel paese non trova piede libero dentro di lui. Un odio ancora più grande è quello che lo pervade e si impossessa di ogni singola cellula del suo corpo.
Picchietta con le nocche della mano destra contro il cofano, in preda all’ansia sempre crescente, provocando un rumore che all’altro non sembra piacere molto. L’altra mano, quella fasciata da qualche giorno, è perennemente incollata al calcio della pistola posta all’interno della fondina che porta al fianco.
«Hai paura?» lo sbeffeggia l’altro, abbozzando un sorriso di sfida.
Lui trattiene una risata.
«Se davvero dobbiamo parlare di paura, tra i due sono quello che è rimasto a secco. Anzi, se ne hai una scorta da qualche parte la accetterei volentieri. Terrorizzarmi dopo tanto tempo non mi farebbe male.»
L’altro fissa la mano fasciata poggiata al fianco. Poi rialza lo sguardo sugli occhi castani del compagno e alza un sopracciglio, come a chiedergli perché è sempre pronto ad estrarre la pistola se non ha paura.
«La paura è una cosa, la prudenza è un’altra. Con la paura non si risolve niente, con la prudenza ti salvi la vita. Non credo che saremmo sopravvissuti qualche giorno fa senza prudenza.»
L’altro fa spallucce e si appoggia ad un pilone a pochi metri dalla Ford. Incrocia le braccia e poggia la suola dello stivale sul paraurti di un’auto carbonizzata.
Lui lo osserva e per un attimo ha l’istinto di farlo. Ma la ragione domina su di lui e non può fare altro che ripensare a come le loro vite siano cambiate.
Otto anni. Sono passati otto anni da quello che viene definito “Giorno dell’Incidente”. Otto anni dalla distruzione del mondo e di tre quarti della popolazione mondiale.
Riesce a stento a ricordare quale fosse il suo stile di vita prima di quel giorno, quale era il suo lavoro? Impiega non poco per ricordare, ma ci riesce.


Si guadagnava da vivere scrivendo romanzi, ironicamente ambientati in mondi post apocalittici, senza però sospettare minimamente che un giorno lui stesso si sarebbe ritrovato ad essere il personaggio di uno di questi; aveva un appartamento non fatiscente ma accogliente, dopo aver lasciato la sua città di origine per trasferirsi a Sun Valley la cui bellezza l’aveva colpito sin da bambino, persino le tasse non erano alte sebbene la multinazionale avesse filiali persino lì. L’energia elementale era il fulcro principale della città; senza di essa i macchinari, che permettevano ogni anno di rendere quella città il maggiore esponente degli sport invernali, non avrebbero funzionato. Adorava assistere a competizioni di quel genere, altro che quell’Octasix per cui tutti perdevano la testa.
Amava la sua vita, e credeva che finalmente dopo molto tempo avrebbe potuto continuare a vivere serenamente senza che nulla e nessuno potesse intralciarlo in alcun modo.
Poi avvenne l’impensabile.
Un enorme boato, un accecante bagliore in piena notte, il terreno vibrò sotto i piedi di tutti e infine l’esplosione. Non sapeva quale miracolo fosse avvenuto per far sì che riaprisse gli occhi parecchie ore dopo: fu sbalzato in aria per molti metri e precipitato su un abete, il quale qualche minuto dopo l’esplosione era stato sradicato. L’atterraggio sulle fronde dell’albero aveva attutito lievemente la sua caduta, ma lo shock ricevuto dall’esplosione aveva fatto sì che il ragazzo non si destasse non appena fosse avvenuto l’impatto.
Quando rinvenne la sua città era stata distrutta, i palazzi e le case erano in fiamme, e quelli che erano stati già spenti sembravano degli imponenti scheletri di ferro e cemento pronti a collassare al minimo sforzo. Deglutì e si accorse di avere la bocca impastata di sangue misto a saliva. Gli diede talmente alla nausea, che un conato di vomito salì improvviso e inaspettato, ma quando contrasse l’addome per rigettare qualcosa arrivò il dolore lancinante. Abbassò lo sguardo e si accorse del ramo conficcato sul fianco sinistro che lo perforava da parte a parte.
Con terrore, urlò grazie a quel filo di voce che riuscì a stento ad emettere, nella speranza che qualcuno lo sentisse e lo aiutasse, ma il caos stava dilagando sempre di più. Non si guardò intorno, i suoi occhi non riuscivano a spostarsi da quel ramo appuntito che entrava dalla parte posteriore del fianco e fuoriusciva dall’altra; la punta grondava di sangue. Il suo sangue, ormai rappreso ma pur sempre evidente. Volle svenire ma il dolore era troppo forte da impedirglielo.
Chiamò aiuto, una volta, due volte, tre, quattro. Continuò per un tempo apparentemente infinito, fin quando non ebbe altre alternative: restare lì a morire o fare qualcosa da solo.
Iniziò a piangere, in prospettiva di ciò che sarebbe accaduto da lì a qualche secondo. Non voleva farlo, non poteva farlo. Cosa cazzo era successo? Perché quell’incubo non stava finendo, facendolo risvegliare sudato sul suo letto? Semplice, si disse, non era un incubo ma la vera, cruda, assurda realtà.
Strinse i denti e chiuse gli occhi, afferrando con la mano destra tremante la parte di ramo infilzata nella parte posteriore. Non ce l’avrebbe fatta, ne era certo. Era la paura che glielo impediva; paura di non riuscire a sopravvivere, paura del dolore che ne sarebbe conseguito, paura di…
Urlò come se qualcuno gli avesse appena cavato gli occhi con due chiodi roventi, senza accorgersi nemmeno di aver spinto il suo corpo in avanti estraendo totalmente il ramo dal fianco. Sentì ogni singola cosa, ogni scheggia legnosa che logorava le sue carni, il suono viscido delle fasce muscolari attraversate da un corpo estraneo, e il sangue che stava riprendendo a fuoriuscire come un fiume di lava. Per istinto, tamponò la ferita con entrambe le mani ma nel giro di una decina di secondi si tinsero totalmente di rosso come se le avesse appena immerse in un secchio di vernice viscosa e calda.
Fece qualche passo, mentre la vista si distorse gradualmente. Volle capire dove si trovava, dove poteva dirigersi… ma Sun Valley era ormai andata, quella era solo una città fantasma infestata da abitanti urlanti e in preda al panico.
Cercò di prendere fiato ma i polmoni parvero rifiutare di svolgere il loro compito. Fece un altro passo, l’ultimo. Poi collassò sul suo stesso peso finendo disteso supino sul ciglio di quella che sembrava la via principale, ormai distrutta in più punti. Osservò il cielo, che stava tingendosi dei colori dell’alba, e tutto ciò che notò fu una strana nebbia nera simile a fumo che aleggiava in aria. Si perse nelle immensità di quell’oscurità incorporea che sembrava tendere dei tremendi artigli verso la sua direzione; ebbe come la sensazione che un’entità fosse riuscita a far breccia nella sua mente. Volle urlare di terrore ma dalla gola non uscì un singolo suono, e prima che perdesse totalmente i sensi udì qualcosa che tutt’oggi riesce a svegliarlo nel cuore della notte con il solo desiderio di piangere come un bambino.
Ciò che sentì fu una voce mastodontica, al cui confronto si sentì così indifeso, così insignificante, inesistente, più piccolo di un granello di sabbia.
DOVE TI NASCONDI, VECCHIO AMICO MIO!?
L’oscurità lo avvolse e credette quasi di non risvegliarsi mai più.
Passò un lasso di tempo indefinito prima che riaprisse gli occhi, ritrovandosi disteso su un letto soffice e comodo in una casa non sua; capì di essere stato salvato da qualcuno. La prima cosa che controllò fu la ferita al fianco: in via di guarigione, niente infezioni o altri effetti collaterali. Comprimere l’addome gli provocò ugualmente dolore ma era una favola in confronto a ciò che aveva passato precedentemente.
«Ti sei svegliato, eh?»
La voce giunse da un punto imprecisato della stanza, dovette guardarsi intorno più di una volta per distinguere la sagoma del ragazzo che lo stava osservando a braccia conserte e con un sorriso sul viso. La prima cosa che lo colpì, fu il verde acceso dei suoi occhi.
«Dove…» dovette interrompersi per tossire. «Dove mi trovo?»
«Sei ancora nella contea di Blaine» gli riferì il ragazzo. «Ma Sun Valley è a parecchi chilometri da qui.»
«Mi hai sal…»
«Eri in stato di incoscienza, con una ferita che grondava sangue. Credi che non mi sarei dovuto fermare e aiutarti?»
«C’era altra gente oltre me…»
«Nel mio mondo si dice semplicemente ‘grazie’, sai?»
Aveva ragione, doveva a lui la sua sopravvivenza e stava continuando a pensare perché l’aveva fatto o per quale motivo non avrebbe dovuto aiutare anche altra gente. Avrebbe potuto ringraziarlo, è vero, ma era anche vero che non sapeva assolutamente nulla di quell’individuo. Da quel che ne sapeva, poteva benissimo essere un criminale o chissà, quell’esplosione che aveva devastato Sun Valley poteva essere stata causata da lui, dato lo stato immacolato della sua abitazione.
Cercò di rimettersi in piedi, ma la ferita al fianco gli provocò una fitta di dolore che non avrebbe potuto evitare in alcun modo.
«Cosa stai facendo?» gli chiese il ragazzo.
«Devo andarmene, voglio… voglio sapere cosa è successo.»
«E credi di poterci riuscire conciato in quel modo? Complimenti, bel coraggio.»
Lui lo guardò in cagnesco, come se quella persona gli avesse appena lanciato l’insulto più grande mai ricevuto in vita sua.
«Nessuno fa niente per niente, l’ho imparato a mie spese. Quindi prima che tu possa fare altro per me, senza che io poi possa far nulla per ricompensare tutto questo, meglio che io sloggi.»
Il ragazzo stava per controbattere, ma non riuscì ad aprir bocca prima che il vetro della finestra venisse sfondato da qualcosa simile a una sfera.
Lui la guardò con attenzione, per poi alzare lo sguardo verso il ragazzo.
«Una Music Ball?»
L’altro sgranò gli occhi, e quel gesto fece sì che il panico si impossessasse di sé, senza pensarci più di un attimo venne afferrato per l’avambraccio e costretto a correre all’esterno dell’abitazione. Passarono sette secondi prima che tutto saltasse in aria avvolto dalle fiamme. I loro corpi vennero sbalzati in avanti finendo nell’erba fresca del giardino.
«No» sussurrò il ragazzo quando si riprese. Osservava con sconcerto i resti infuocati della sua casa. «No!»
«Cosa…» strinse i denti per il dolore alla ferita al fianco. «Cosa è successo?»
L’altro non rispose, restava immobile di fronte all’inferno che stava divorando il luogo in cui era cresciuto.
Lui non seppe cosa fare, non aveva idea di cosa stesse passando per la testa del ragazzo, di certo sconcerto e tristezza ma non sarebbe riuscito a dargli quel conforto di cui aveva bisogno. Poggiò una mano sulla sua spalla, e strinse la presa.
«Mi hai salvato, ancora una volta» gli disse. «Credo di doverti dire grazie.»
Ma il ragazzo non sembrò aver sentito una parola di ciò che gli era stato detto. Non fu per niente scosso da quelle parole, come se fossero state frivole come il vento.
«Cosa farò adesso?»
Lui non capì. Cosa faceva? Cosa avrebbe voluto fare?
Per un attimo, l’idea di voltare le spalle e andare via per la propria strada fu tanta. Non aveva mai voluto fidarsi della gente, tantomeno avrebbe voluto farlo dopo che la sua città era stata distrutta da qualcosa di inconcepibile. Girarsi e proseguire alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto dargli di più, una nuova città magari, era la scelta migliore. Avrebbe dovuto solamente trovare un telefono, o comprare un Holo BMN e contattare qualcuno che poteva realmente aiutarlo.
Ricominciare.
Fece un passo, quando cambiò idea improvvisamente. Qualcosa dentro di lui gli stava chiaramente dicendo di non andare, che sarebbe dovuto restare per quel ragazzo che l’aveva aiutato più di una volta, che lasciarlo da solo in un momento come quello significava solo comportarsi da vera carogna al pari dei bastardi che avevano fatto saltare in aria la sua casa.
«Ti…» si schiarì la gola. «Ti va di venire con me?»
Il ragazzo si voltò, neanche una lacrima aveva solcato il suo viso sebbene si vedesse chiaramente che stava soffrendo. Il verde dei suoi occhi sembrava risplendere di luce propria e ancora una volta lui ne fu attratto, quasi ammaliato.
«Dove?» fu l’unica cosa che pronunciò il ragazzo.
«Non lo so, vorrei cercare qualcosa per contattare i miei familiari. Tu hai famiglia?»
Il ragazzo scosse la testa negando. «Tutto ciò che avevo, adesso è in fiamme.»
«Conosci il mito delle fenici? Sono animali leggendari. La mitologia credeva che…»
«Sono solo stronzate. Dalle ceneri non ricrescerà più un cazzo!»
Lui restò senza parole, stizzito e allibito da quella rivelazione non poté far altro che tacere. Si limitò ad alzare le spalle, voltarsi e iniziare a camminare.
Non passarono neanche due minuti prima che il ragazzo lo affiancasse.
«Credevo non volessi venire.»
«Ho solo detto che i miti sono solo delle stronzate. Inoltre dove altro potrei andare? Qui non ho nessuno, e al momento sei ciò che più si avvicina ad un conoscente.»
Lui gli tese la mano per una stretta. «Sono Christopher Worth. Chris per gli amici.»
Il ragazzo contraccambiò la stretta di mano. «Ryder.»
«Hai anche un cognome, Ryder?»
«West.»
Chris appoggiò la mano sulla spalla di Ryder ancora una volta. «Ti ringrazio nuovamente per avermi salvato. Ti prometto che ricambierò il favore. Quando arriveremo alla città più vicina provvederò ad aiutarti a trovare una nuova sistemazione, è il minimo che io possa fare, senza contare che dovrei davvero andare in un centro medico per questa ferita.»
Non potevano ancora saperlo ma da lì a otto anni non avrebbero trovato città ancora integre. L’Incidente non aveva colpito solamente Sun Valley ma gli interi centri urbani di tutto il globo, ovunque vi fosse energia elementale.
Non impiegarono neanche molto a capire che l’Incidente era partito dalla sede centrale della multinazionale, ad Anchorage, in Alaska.
Imparare a sopravvivere in quel mondo in totale rovina, invece, impiegò molto più tempo e tutt’ora – a otto anni di distanza dal Giorno dell’Incidente – non sono ancora in grado di sopravvivere senza avere paura, ogni singolo giorno, che sia l’ultimo della loro vita.
Passò del tempo e a differenza dei tempi in cui non sapevano nulla dell’altro, qualcosa cambiò. Lo scopo delle loro vite, che cessò di esistere quando Sun Valley venne distrutta così come l’abitazione di Ryder, ritrovò un senso quando un’organizzazione chiamata ‘Piani Alti’ offrì loro un incarico a lunga durata. Accettando avrebbero avuto perenne assistenza e tecnologia all’avanguardia, senza contare una esigua scorta di beni e viveri.
Passarono quattro anni da quando avevano accettato ma ancora non avevano portato a termine nulla.
Chris credette che finalmente le cose sarebbero cambiate quando misero piede in una città limitrofa a Columbus. Ogni traccia sembrava portare lì, ma ebbero un intoppo. Il cosiddetto “capo” della banda di quartiere li fermò, per depredarli di ogni loro avere, insieme ai suoi scagnozzi.
«Sentite, non vogliamo rogne. Cerchiamo solamente qualcosa.»
La banda cominciò a ridere, come per intimorirli, prima che il capo prendesse parola dopo aver sfoderato una frusta dal fodero posto sotto l’ascella sinistra. «Io credo che siate voi ad avere qualcosa. Qualcosa che adesso sarà nostra.»
«Diteci quel che vogliamo sapere e non vi faremo nulla, non siamo qui per voi. Non vogliamo farvi nulla di male» ammise Ryder.
«Non lui almeno» aggiunse Chris, ridacchiando.
Fu quell’ultima frase che fece infuriare l’uomo armato di frusta e che lo portò ad attaccare per primo. La stazza robusta non gli permetteva movimenti rapidi e fu facile schivare il colpo di frusta che colpì il terreno a pochi centimetri dalla suola dello stivale di Ryder.
«Ecco, questo non dovevi farlo» disse Chris sfoderando la Phantom e facendo fuoco sul ginocchio dell’uomo che all’istante cadde a terra urlante.
«Figlio di puttana!» sbraitò il capobanda. «Ammazzateli!»
Il gruppo composto da cinque individui fu loro addosso. Non fu una lotta estenuante, ne avevano passate di peggio, ma avevano ugualmente riportato le loro ferite curabili in una manciata di giorni. Quella più profonda però venne causata da un pugnale che il capobanda lanciò con forza diretto al cranio di Ryder; Chris se ne accorse appena in tempo da porre la mano in mezzo alla traiettoria, venendo infilzato da parte a parte. Ringhiò di dolore prima che si ritrovasse con la canna puntata sulla tempia dell’uomo, soffiando tra i denti. Era pronto a premere il grilletto quando Ryder lo bloccò.
«No. Non è necessario.»
Chris portò lo sguardo negli occhi grigi dell’uomo a terra, la mano ancora sanguinante. «Dovresti ringraziarlo! La persona che hai tentato di uccidere ti sta concedendo la grazia! Però c’è una cosa che devi sapere su di noi…»
L’uomo aveva ridacchiato. «Siete due finocchi, vero? Ho visto come guardi il tuo fidanzatino. Cosa succederebbe se io vi tagliassi le palle ad entrambi?»
«… Lui lo stava facendo perché tra i due è quello più buono. La persona che stai provocando in questo momento, invece, è quella estremamente malvagia» lo informò per poi premere il grilletto senza esitare un solo istante. Il proiettile perforò il cranio disperdendo sull’asfalto frammenti d’osso, materia grigia e sangue. Il corpo dell’uomo cadde senza vita davanti ai suoi occhi. Si voltò verso gli altri membri della banda che stavano cercando di recuperare le forze per attuare un contrattacco. «Se non volete fare la stessa fine di questo pezzo di merda, vi conviene lasciare la città! Subito! Se vedrò ancora le vostre luride facce, vi faccio saltar via il cervello come ho fatto con il vostro capo!»
Li avevano visti scappare a gambe levate, dopodiché Ryder si era voltato a fissare Chris.
«Non guardarmi, l’hai sempre detto anche tu che tra i due sono io quello più cattivo» disse Chris estraendo il pugnale dalla mano e fasciandola immediatamente con le garze che teneva nella sacca.
Non trovarono nulla in quella cittadina, ma le tracce portavano tutte a Columbus.  

«Quindi era prudenza ciò che ti ha spinto ad ammazzare quell’uomo?» domanda Ryder osservando i resti dell’automobile.
«Se non l’avessi ammazzato io, ci avrebbe ammazzati lui» risponde Chris. Scende dal cofano della Ford e si dirige a passi lenti verso Ryder. Il terreno scricchiola sotto le suole degli stivali passo dopo passo. Quando si trova a qualche centimetro dal ragazzo, poggia la mano guantata sul viso di lui. «E nessuno deve provare ad ammazzare il mio ragazzo.»
Chiude gli occhi e le loro labbra entrano in contatto. Il bacio fomenta tra i due una passione che sembra crescere di volta in volta. Vuole passare ciò che non avrebbe mai immaginato di trasmettere otto anni prima: tutto l’amore che un bacio tra due amanti sia in grado di comunicare.
È Chris a distaccarsi per primo, poggiando poi la fronte su quella di Ryder, per guardare quei suoi occhi verdi che sin dal primo momento l’avevano rapito.
«Sai, pensavo a quando ci siamo conosciuti. Mi chiedo, se fossi andato via mentre casa tua stava bruciando… saremmo ugualmente qui?» gli chiede.
«Nessuno può saperlo, però è andata in questo modo e io non posso essere più felice di così. Allo stesso modo, non riuscirei mai ad immaginare cosa sarebbe successo se non avessi deciso di seguirti o peggio, se non ti avessi aiutato quando ti trovai senza sensi con quella ferita aperta.»
Si baciano nuovamente, con più enfasi di quanta non ne avesse avuta il bacio precedente.
Questa volta è Ryder a distaccarsi per primo, ridacchiando.
«Allora? Ti va di farlo?»
Chris fa scivolare la mano giù fino a toccare i glutei del ragazzo, ammiccando maliziosamente. «Così mi provochi, signor West.»
Ryder lo spinge poggiando le mani sul suo petto. «Dai non fare il cretino, sai a cosa mi riferisco.»
«Ma devo proprio?»
«È il nostro anniversario, è il minimo che potresti fare.»
Chris sbuffò esasperato, salendo in piedi sullo stesso cofano su cui poco prima era seduto, come un artista pronto ad esibirsi. L’imbarazzo è alle stelle sebbene nessuno sia presente, ad eccezione della persona che ama e che amerà fino alla fine dei suoi giorni. Si schiarisce la gola e comincia ad intonare le prime note di una vecchia canzone che molti anni prima, quando entrambi rivelarono i propri sentimenti per l’altro e decisero di instaurare una relazione, Ryder gli aveva dedicato.
Appoggiato ancora al pilastro, ascoltando beatamente la voce incerta ma intonata del suo ragazzo, Ryder tira fuori dalla tasca un terminale olografico tascabile. Lo aziona, e molteplici file si presentano di fronte ai suoi occhi, sospesi in aria come per magia. Seleziona quello corrispondente a ‘ricercati’ fissando con uno sviscerato interesse i nomi di coloro che stanno cercando da quattro anni e che, ne è più che certo, stanno per catturare per poi consegnarli ai ‘Piani Alti’.
Li sussurra uno dopo l’altro mentre Chris continua a cantare quel che era effettivamente la loro canzone e che riesce ad emozionarlo ogni volta che ne sente la melodia. «Ruben Bailey. Logan Carter. Maya Walsh. Shannon Dallas. Miriam Stone. Vi troveremo, è solo una questione di tempo. La vostra fuga è finita.»