«Non sono
certo di poterlo fare» dice l’uomo seduto sul cofano di quella che, un tempo
ormai indefinito, sarebbe dovuta essere una vecchia Ford.
L’aria è
fredda, ad ogni respiro delle nuvolette di vapore condensato fuoriescono dalle
loro bocche disperdendosi dopo pochi attimi. Non sanno con precisione come
possano misurare la temperatura ma ad occhio e croce non ci dovrebbero essere
più di sette gradi centigradi.
Hanno trovato
quell’attuale rifugio di fortuna, dopo aver trascorso gli ultimi giorni a pararsi
il culo a vicenda, esposti ai pericoli che sono oramai alla portata di
chiunque. Si tratta di un posteggio sotterraneo di un centro commerciale che,
in tempi che sembrano ormai miraggi della memoria, sicuramente pullulava di
gente.
Lui non è mai
stato a Columbus. A dirla tutta il Nebraska l’ha sempre nauseato, specialmente
per i fottutissimi tornado che si abbattono in quella zona degli Stati Uniti
come se fossero attratti da una calamita meteorologica. Una persona si
costruisce una vita, una casa, delle vere e proprie certezze… e improvvisamente
un dannato cono vorticante cala dalle nuvole, quasi fosse un messia, e spazza
via ogni singola cosa. Vedi la tua abitazione alzarsi in cielo, scardinarsi
sotto la forza impetuosa del vento e venire distrutta nel giro di qualche
secondo.
Bello eh? Il
Nebraska.
Le sue
convinzioni però sono messe da parte, il suo astio verso quel paese non trova
piede libero dentro di lui. Un odio ancora più grande è quello che lo pervade e
si impossessa di ogni singola cellula del suo corpo.
Picchietta con
le nocche della mano destra contro il cofano, in preda all’ansia sempre
crescente, provocando un rumore che all’altro non sembra piacere molto. L’altra
mano, quella fasciata da qualche giorno, è perennemente incollata al calcio
della pistola posta all’interno della fondina che porta al fianco.
«Hai paura?»
lo sbeffeggia l’altro, abbozzando un sorriso di sfida.
Lui trattiene
una risata.
«Se davvero
dobbiamo parlare di paura, tra i due sono quello che è rimasto a secco. Anzi,
se ne hai una scorta da qualche parte la accetterei volentieri. Terrorizzarmi
dopo tanto tempo non mi farebbe male.»
L’altro fissa
la mano fasciata poggiata al fianco. Poi rialza lo sguardo sugli occhi castani
del compagno e alza un sopracciglio, come a chiedergli perché è sempre pronto
ad estrarre la pistola se non ha paura.
«La paura è
una cosa, la prudenza è un’altra. Con la paura non si risolve niente, con la
prudenza ti salvi la vita. Non credo che saremmo sopravvissuti qualche giorno
fa senza prudenza.»
L’altro fa
spallucce e si appoggia ad un pilone a pochi metri dalla Ford. Incrocia le
braccia e poggia la suola dello stivale sul paraurti di un’auto carbonizzata.
Lui lo osserva
e per un attimo ha l’istinto di farlo. Ma la ragione domina su di lui e non può
fare altro che ripensare a come le loro vite siano cambiate.
Otto anni.
Sono passati otto anni da quello che viene definito “Giorno dell’Incidente”.
Otto anni dalla distruzione del mondo e di tre quarti della popolazione
mondiale.
Riesce a stento
a ricordare quale fosse il suo stile di vita prima di quel giorno, quale era il
suo lavoro? Impiega non poco per ricordare, ma ci riesce.
Si guadagnava
da vivere scrivendo romanzi, ironicamente ambientati in mondi post
apocalittici, senza però sospettare minimamente che un giorno lui stesso si
sarebbe ritrovato ad essere il personaggio di uno di questi; aveva un
appartamento non fatiscente ma accogliente, dopo aver lasciato la sua città di
origine per trasferirsi a Sun Valley la cui bellezza l’aveva colpito sin da
bambino, persino le tasse non erano alte sebbene la multinazionale avesse filiali
persino lì. L’energia elementale era il fulcro principale della città; senza di
essa i macchinari, che permettevano ogni anno di rendere quella città il
maggiore esponente degli sport invernali, non avrebbero funzionato. Adorava
assistere a competizioni di quel genere, altro che quell’Octasix per cui tutti
perdevano la testa.
Amava la sua
vita, e credeva che finalmente dopo molto tempo avrebbe potuto continuare a
vivere serenamente senza che nulla e nessuno potesse intralciarlo in alcun
modo.
Poi avvenne
l’impensabile.
Un enorme
boato, un accecante bagliore in piena notte, il terreno vibrò sotto i piedi di
tutti e infine l’esplosione. Non sapeva quale miracolo fosse avvenuto per far
sì che riaprisse gli occhi parecchie ore dopo: fu sbalzato in aria per molti
metri e precipitato su un abete, il quale qualche minuto dopo l’esplosione era
stato sradicato. L’atterraggio sulle fronde dell’albero aveva attutito
lievemente la sua caduta, ma lo shock ricevuto dall’esplosione aveva fatto sì
che il ragazzo non si destasse non appena fosse avvenuto l’impatto.
Quando
rinvenne la sua città era stata distrutta, i palazzi e le case erano in fiamme,
e quelli che erano stati già spenti sembravano degli imponenti scheletri di
ferro e cemento pronti a collassare al minimo sforzo. Deglutì e si accorse di
avere la bocca impastata di sangue misto a saliva. Gli diede talmente alla
nausea, che un conato di vomito salì improvviso e inaspettato, ma quando
contrasse l’addome per rigettare qualcosa arrivò il dolore lancinante. Abbassò
lo sguardo e si accorse del ramo conficcato sul fianco sinistro che lo
perforava da parte a parte.
Con terrore,
urlò grazie a quel filo di voce che riuscì a stento ad emettere, nella speranza
che qualcuno lo sentisse e lo aiutasse, ma il caos stava dilagando sempre di
più. Non si guardò intorno, i suoi occhi non riuscivano a spostarsi da quel
ramo appuntito che entrava dalla parte posteriore del fianco e fuoriusciva
dall’altra; la punta grondava di sangue. Il suo sangue, ormai rappreso ma pur
sempre evidente. Volle svenire ma il dolore era troppo forte da impedirglielo.
Chiamò aiuto,
una volta, due volte, tre, quattro. Continuò per un tempo apparentemente
infinito, fin quando non ebbe altre alternative: restare lì a morire o fare
qualcosa da solo.
Iniziò a
piangere, in prospettiva di ciò che sarebbe accaduto da lì a qualche secondo.
Non voleva farlo, non poteva farlo. Cosa cazzo era successo? Perché
quell’incubo non stava finendo, facendolo risvegliare sudato sul suo letto?
Semplice, si disse, non era un incubo ma la vera, cruda, assurda realtà.
Strinse i
denti e chiuse gli occhi, afferrando con la mano destra tremante la parte di
ramo infilzata nella parte posteriore. Non ce l’avrebbe fatta, ne era certo.
Era la paura che glielo impediva; paura di non riuscire a sopravvivere, paura
del dolore che ne sarebbe conseguito, paura di…
Urlò come se
qualcuno gli avesse appena cavato gli occhi con due chiodi roventi, senza accorgersi
nemmeno di aver spinto il suo corpo in avanti estraendo totalmente il ramo dal
fianco. Sentì ogni singola cosa, ogni scheggia legnosa che logorava le sue
carni, il suono viscido delle fasce muscolari attraversate da un corpo
estraneo, e il sangue che stava riprendendo a fuoriuscire come un fiume di
lava. Per istinto, tamponò la ferita con entrambe le mani ma nel giro di una
decina di secondi si tinsero totalmente di rosso come se le avesse appena
immerse in un secchio di vernice viscosa e calda.
Fece qualche
passo, mentre la vista si distorse gradualmente. Volle capire dove si trovava,
dove poteva dirigersi… ma Sun Valley era ormai andata, quella era solo una
città fantasma infestata da abitanti urlanti e in preda al panico.
Cercò di
prendere fiato ma i polmoni parvero rifiutare di svolgere il loro compito. Fece
un altro passo, l’ultimo. Poi collassò sul suo stesso peso finendo disteso
supino sul ciglio di quella che sembrava la via principale, ormai distrutta in
più punti. Osservò il cielo, che stava tingendosi dei colori dell’alba, e tutto
ciò che notò fu una strana nebbia nera simile a fumo che aleggiava in aria. Si
perse nelle immensità di quell’oscurità incorporea che sembrava tendere dei
tremendi artigli verso la sua direzione; ebbe come la sensazione che un’entità
fosse riuscita a far breccia nella sua mente. Volle urlare di terrore ma dalla
gola non uscì un singolo suono, e prima che perdesse totalmente i sensi udì
qualcosa che tutt’oggi riesce a svegliarlo nel cuore della notte con il solo desiderio
di piangere come un bambino.
Ciò che sentì
fu una voce mastodontica, al cui confronto si sentì così indifeso, così
insignificante, inesistente, più piccolo di un granello di sabbia.
DOVE TI NASCONDI, VECCHIO AMICO MIO!?
L’oscurità lo
avvolse e credette quasi di non risvegliarsi mai più.
Passò un lasso
di tempo indefinito prima che riaprisse gli occhi, ritrovandosi disteso su un
letto soffice e comodo in una casa non sua; capì di essere stato salvato da
qualcuno. La prima cosa che controllò fu la ferita al fianco: in via di
guarigione, niente infezioni o altri effetti collaterali. Comprimere l’addome
gli provocò ugualmente dolore ma era una favola in confronto a ciò che aveva
passato precedentemente.
«Ti sei
svegliato, eh?»
La voce giunse
da un punto imprecisato della stanza, dovette guardarsi intorno più di una
volta per distinguere la sagoma del ragazzo che lo stava osservando a braccia
conserte e con un sorriso sul viso. La prima cosa che lo colpì, fu il verde
acceso dei suoi occhi.
«Dove…» dovette
interrompersi per tossire. «Dove mi trovo?»
«Sei ancora
nella contea di Blaine» gli riferì il ragazzo. «Ma Sun Valley è a parecchi
chilometri da qui.»
«Mi hai sal…»
«Eri in stato
di incoscienza, con una ferita che grondava sangue. Credi che non mi sarei
dovuto fermare e aiutarti?»
«C’era altra
gente oltre me…»
«Nel mio mondo
si dice semplicemente ‘grazie’, sai?»
Aveva ragione,
doveva a lui la sua sopravvivenza e stava continuando a pensare perché l’aveva
fatto o per quale motivo non avrebbe dovuto aiutare anche altra gente. Avrebbe
potuto ringraziarlo, è vero, ma era anche vero che non sapeva assolutamente
nulla di quell’individuo. Da quel che ne sapeva, poteva benissimo essere un
criminale o chissà, quell’esplosione che aveva devastato Sun Valley poteva
essere stata causata da lui, dato lo stato immacolato della sua
abitazione.
Cercò di
rimettersi in piedi, ma la ferita al fianco gli provocò una fitta di dolore che
non avrebbe potuto evitare in alcun modo.
«Cosa stai
facendo?» gli chiese il ragazzo.
«Devo
andarmene, voglio… voglio sapere cosa è successo.»
«E credi di
poterci riuscire conciato in quel modo? Complimenti, bel coraggio.»
Lui lo guardò
in cagnesco, come se quella persona gli avesse appena lanciato l’insulto più
grande mai ricevuto in vita sua.
«Nessuno fa
niente per niente, l’ho imparato a mie spese. Quindi prima che tu possa fare
altro per me, senza che io poi possa far nulla per ricompensare tutto questo,
meglio che io sloggi.»
Il ragazzo
stava per controbattere, ma non riuscì ad aprir bocca prima che il vetro della
finestra venisse sfondato da qualcosa simile a una sfera.
Lui la guardò
con attenzione, per poi alzare lo sguardo verso il ragazzo.
«Una Music
Ball?»
L’altro sgranò
gli occhi, e quel gesto fece sì che il panico si impossessasse di sé, senza
pensarci più di un attimo venne afferrato per l’avambraccio e costretto a
correre all’esterno dell’abitazione. Passarono sette secondi prima che tutto
saltasse in aria avvolto dalle fiamme. I loro corpi vennero sbalzati in avanti
finendo nell’erba fresca del giardino.
«No» sussurrò
il ragazzo quando si riprese. Osservava con sconcerto i resti infuocati della
sua casa. «No!»
«Cosa…»
strinse i denti per il dolore alla ferita al fianco. «Cosa è successo?»
L’altro non
rispose, restava immobile di fronte all’inferno che stava divorando il luogo in
cui era cresciuto.
Lui non seppe
cosa fare, non aveva idea di cosa stesse passando per la testa del ragazzo, di
certo sconcerto e tristezza ma non sarebbe riuscito a dargli quel conforto di
cui aveva bisogno. Poggiò una mano sulla sua spalla, e strinse la presa.
«Mi hai
salvato, ancora una volta» gli disse. «Credo di doverti dire grazie.»
Ma il ragazzo
non sembrò aver sentito una parola di ciò che gli era stato detto. Non fu per
niente scosso da quelle parole, come se fossero state frivole come il vento.
«Cosa farò
adesso?»
Lui non capì.
Cosa faceva? Cosa avrebbe voluto fare?
Per un attimo,
l’idea di voltare le spalle e andare via per la propria strada fu tanta. Non
aveva mai voluto fidarsi della gente, tantomeno avrebbe voluto farlo dopo che
la sua città era stata distrutta da qualcosa di inconcepibile. Girarsi e
proseguire alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto dargli di più, una nuova
città magari, era la scelta migliore. Avrebbe dovuto solamente trovare un
telefono, o comprare un Holo BMN e
contattare qualcuno che poteva realmente aiutarlo.
Ricominciare.
Fece un passo,
quando cambiò idea improvvisamente. Qualcosa dentro di lui gli stava
chiaramente dicendo di non andare, che sarebbe dovuto restare per quel ragazzo
che l’aveva aiutato più di una volta, che lasciarlo da solo in un momento come
quello significava solo comportarsi da vera carogna al pari dei bastardi che
avevano fatto saltare in aria la sua casa.
«Ti…» si
schiarì la gola. «Ti va di venire con me?»
Il ragazzo si
voltò, neanche una lacrima aveva solcato il suo viso sebbene si vedesse
chiaramente che stava soffrendo. Il verde dei suoi occhi sembrava risplendere
di luce propria e ancora una volta lui ne fu attratto, quasi ammaliato.
«Dove?» fu
l’unica cosa che pronunciò il ragazzo.
«Non lo so,
vorrei cercare qualcosa per contattare i miei familiari. Tu hai famiglia?»
Il ragazzo
scosse la testa negando. «Tutto ciò che avevo, adesso è in fiamme.»
«Conosci il
mito delle fenici? Sono animali leggendari. La mitologia credeva che…»
«Sono solo
stronzate. Dalle ceneri non ricrescerà più un cazzo!»
Lui restò
senza parole, stizzito e allibito da quella rivelazione non poté far altro che
tacere. Si limitò ad alzare le spalle, voltarsi e iniziare a camminare.
Non passarono
neanche due minuti prima che il ragazzo lo affiancasse.
«Credevo non
volessi venire.»
«Ho solo detto
che i miti sono solo delle stronzate. Inoltre dove altro potrei andare? Qui non
ho nessuno, e al momento sei ciò che più si avvicina ad un conoscente.»
Lui gli tese
la mano per una stretta. «Sono
Christopher Worth. Chris per gli amici.»
Il ragazzo
contraccambiò la stretta di mano. «Ryder.»
«Hai anche un
cognome, Ryder?»
«West.»
Chris appoggiò
la mano sulla spalla di Ryder ancora una volta. «Ti ringrazio nuovamente per
avermi salvato. Ti prometto che ricambierò il favore. Quando arriveremo alla
città più vicina provvederò ad aiutarti a trovare una nuova sistemazione, è il
minimo che io possa fare, senza contare che dovrei davvero andare in un centro
medico per questa ferita.»
Non potevano
ancora saperlo ma da lì a otto anni non avrebbero trovato città ancora integre.
L’Incidente non aveva colpito solamente Sun Valley ma gli interi centri urbani
di tutto il globo, ovunque vi fosse energia elementale.
Non
impiegarono neanche molto a capire che l’Incidente era partito dalla sede
centrale della multinazionale, ad Anchorage, in Alaska.
Imparare a
sopravvivere in quel mondo in totale rovina, invece, impiegò molto più tempo e
tutt’ora – a otto anni di distanza dal Giorno dell’Incidente – non sono ancora
in grado di sopravvivere senza avere paura, ogni singolo giorno, che sia
l’ultimo della loro vita.
Passò del
tempo e a differenza dei tempi in cui non sapevano nulla dell’altro, qualcosa cambiò.
Lo scopo delle loro vite, che cessò di esistere quando Sun Valley venne
distrutta così come l’abitazione di Ryder, ritrovò un senso quando
un’organizzazione chiamata ‘Piani Alti’
offrì loro un incarico a lunga durata. Accettando avrebbero avuto perenne
assistenza e tecnologia all’avanguardia, senza contare una esigua scorta di
beni e viveri.
Passarono
quattro anni da quando avevano accettato ma ancora non avevano portato a
termine nulla.
Chris credette
che finalmente le cose sarebbero cambiate quando misero piede in una città
limitrofa a Columbus. Ogni traccia sembrava portare lì, ma ebbero un intoppo.
Il cosiddetto “capo” della banda di quartiere li fermò, per depredarli di ogni
loro avere, insieme ai suoi scagnozzi.
«Sentite, non
vogliamo rogne. Cerchiamo solamente qualcosa.»
La banda
cominciò a ridere, come per intimorirli, prima che il capo prendesse parola
dopo aver sfoderato una frusta dal fodero posto sotto l’ascella sinistra. «Io
credo che siate voi ad avere qualcosa. Qualcosa che adesso sarà nostra.»
«Diteci quel
che vogliamo sapere e non vi faremo nulla, non siamo qui per voi. Non vogliamo
farvi nulla di male» ammise Ryder.
«Non lui
almeno» aggiunse Chris, ridacchiando.
Fu
quell’ultima frase che fece infuriare l’uomo armato di frusta e che lo portò ad
attaccare per primo. La stazza robusta non gli permetteva movimenti rapidi e fu
facile schivare il colpo di frusta che colpì il terreno a pochi centimetri
dalla suola dello stivale di Ryder.
«Ecco, questo
non dovevi farlo» disse Chris sfoderando la Phantom e facendo fuoco sul
ginocchio dell’uomo che all’istante cadde a terra urlante.
«Figlio di
puttana!» sbraitò il capobanda. «Ammazzateli!»
Il gruppo
composto da cinque individui fu loro addosso. Non fu una lotta estenuante, ne
avevano passate di peggio, ma avevano ugualmente riportato le loro ferite
curabili in una manciata di giorni. Quella più profonda però venne causata da
un pugnale che il capobanda lanciò con forza diretto al cranio di Ryder; Chris
se ne accorse appena in tempo da porre la mano in mezzo alla traiettoria,
venendo infilzato da parte a parte. Ringhiò di dolore prima che si ritrovasse
con la canna puntata sulla tempia dell’uomo, soffiando tra i denti. Era pronto
a premere il grilletto quando Ryder lo bloccò.
«No. Non è
necessario.»
Chris portò lo
sguardo negli occhi grigi dell’uomo a terra, la mano ancora sanguinante.
«Dovresti ringraziarlo! La persona che hai tentato di uccidere ti sta
concedendo la grazia! Però c’è una cosa che devi sapere su di noi…»
L’uomo aveva
ridacchiato. «Siete due finocchi, vero? Ho visto come guardi il tuo
fidanzatino. Cosa succederebbe se io vi tagliassi le palle ad entrambi?»
«… Lui lo
stava facendo perché tra i due è quello più buono. La persona che stai
provocando in questo momento, invece, è quella estremamente malvagia» lo
informò per poi premere il grilletto senza esitare un solo istante. Il
proiettile perforò il cranio disperdendo sull’asfalto frammenti d’osso, materia
grigia e sangue. Il corpo dell’uomo cadde senza vita davanti ai suoi occhi. Si
voltò verso gli altri membri della banda che stavano cercando di recuperare le
forze per attuare un contrattacco. «Se non volete fare la stessa fine di questo
pezzo di merda, vi conviene lasciare la città! Subito! Se vedrò ancora le
vostre luride facce, vi faccio saltar via il cervello come ho fatto con il
vostro capo!»
Li avevano
visti scappare a gambe levate, dopodiché Ryder si era voltato a fissare Chris.
«Non
guardarmi, l’hai sempre detto anche tu che tra i due sono io quello più
cattivo» disse Chris estraendo il pugnale dalla mano e fasciandola
immediatamente con le garze che teneva nella sacca.
Non trovarono
nulla in quella cittadina, ma le tracce portavano tutte a Columbus.
«Quindi era
prudenza ciò che ti ha spinto ad ammazzare quell’uomo?» domanda Ryder
osservando i resti dell’automobile.
«Se non
l’avessi ammazzato io, ci avrebbe ammazzati lui» risponde Chris. Scende dal
cofano della Ford e si dirige a passi lenti verso Ryder. Il terreno scricchiola
sotto le suole degli stivali passo dopo passo. Quando si trova a qualche
centimetro dal ragazzo, poggia la mano guantata sul viso di lui. «E nessuno
deve provare ad ammazzare il mio ragazzo.»
Chiude gli
occhi e le loro labbra entrano in contatto. Il bacio fomenta tra i due una
passione che sembra crescere di volta in volta. Vuole passare ciò che non
avrebbe mai immaginato di trasmettere otto anni prima: tutto l’amore che un
bacio tra due amanti sia in grado di comunicare.
È Chris a
distaccarsi per primo, poggiando poi la fronte su quella di Ryder, per guardare
quei suoi occhi verdi che sin dal primo momento l’avevano rapito.
«Sai, pensavo
a quando ci siamo conosciuti. Mi chiedo, se fossi andato via mentre casa tua
stava bruciando… saremmo ugualmente qui?» gli chiede.
«Nessuno può
saperlo, però è andata in questo modo e io non posso essere più felice di così.
Allo stesso modo, non riuscirei mai ad immaginare cosa sarebbe successo se non
avessi deciso di seguirti o peggio, se non ti avessi aiutato quando ti trovai
senza sensi con quella ferita aperta.»
Si baciano
nuovamente, con più enfasi di quanta non ne avesse avuta il bacio precedente.
Questa volta è
Ryder a distaccarsi per primo, ridacchiando.
«Allora? Ti va
di farlo?»
Chris fa
scivolare la mano giù fino a toccare i glutei del ragazzo, ammiccando
maliziosamente. «Così mi provochi, signor West.»
Ryder lo
spinge poggiando le mani sul suo petto. «Dai non fare il cretino, sai a cosa mi
riferisco.»
«Ma devo
proprio?»
«È il nostro
anniversario, è il minimo che potresti fare.»
Chris sbuffò
esasperato, salendo in piedi sullo stesso cofano su cui poco prima era seduto,
come un artista pronto ad esibirsi. L’imbarazzo è alle stelle sebbene nessuno
sia presente, ad eccezione della persona che ama e che amerà fino alla fine dei
suoi giorni. Si schiarisce la gola e comincia ad intonare le prime note di una
vecchia canzone che molti anni prima, quando entrambi rivelarono i propri
sentimenti per l’altro e decisero di instaurare una relazione, Ryder gli aveva
dedicato.
Appoggiato
ancora al pilastro, ascoltando beatamente la voce incerta ma intonata del suo
ragazzo, Ryder tira fuori dalla tasca un terminale olografico tascabile. Lo
aziona, e molteplici file si presentano di fronte ai suoi occhi, sospesi in
aria come per magia. Seleziona quello corrispondente a ‘ricercati’ fissando con uno sviscerato interesse i nomi di
coloro che stanno cercando da quattro anni e che, ne è più che certo, stanno
per catturare per poi consegnarli ai ‘Piani Alti’.
Li sussurra
uno dopo l’altro mentre Chris continua a cantare quel che era effettivamente la
loro canzone e che riesce ad emozionarlo ogni volta che ne sente la melodia. «Ruben Bailey. Logan Carter. Maya Walsh. Shannon
Dallas. Miriam Stone. Vi
troveremo, è solo una questione di tempo. La vostra fuga è finita.»